Ribattendo i chiodi: presunzione o crassa ignoranza?


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Nel marzo 2009 il mensile “Sicilia Libertaria” pubblicò un nostro articolo (Premi e “poesie” a go go). La direzione del giornale aggiunse al testo, di propria mano, il sottotitolo “Le battaglie culturali”, mostrando, così, di aver compreso in pieno, e di avallare completamente, lo spirito dell’articolo, che è quindi non un intervento localistico, ma l’espressione di una lunga e tenace battaglia ideale combattuta in difesa della Cultura vera, in Italia come in tutto il mondo.

Ritorniamo  dunque volentieri sull’argomento, ritenendo doveroso e necessario evidenziare una serie di osservazioni e di chiarimenti.

Nessuno vuole limitare o comprimere le possibilità artistiche di chicchessia, ma fermiamoci un attimo a riflettere. La vera arte è rara, molto rara. Un imbianchino non è un pittore, anche se adopera il medesimo strumento, il pennello; un imbrattacarte non è un poeta o uno scrittore, anche se usano, entrambi, la penna o il computer.

E’ vero che ciascuno è libero di esprimere i propri sentimenti e di ritenersi, per questo, un letterato o un critico, ma chi si crede Napoleone lo è per davvero?

Del tutto inesatta è poi la tesi che poeti e letterati scrivano essenzialmente per sé stessi. Questa argomentazione l’abbiamo ascoltata spesso,  da ingenui sprovveduti, e non corrisponde assolutamente alla realtà. Dante ha composto per sé la Divina Commedia? Giammai! Il grande capolavoro è stato scritto per ammaestrare l’umanità intera, per mostrare e indicare a tutte le generazioni, anche a quelle future, la strada che faticosamente conduce all’elevazione spirituale, morale, culturale.

Circa poi il gradimento, o meno, di un autore, di un’opera o anche di un semplice articolo, non possiamo, nella maniera più assoluta, risolvere il tutto con un “mi piace” o “non mi piace”. Signori, qui non siamo su facebook, dove bastano tre righi sgrammaticati e incomprensibili per esprimere assenso o dissenso. Questo atteggiamento,  frivolo e superficiale,  è tipico di chi non è in grado di obiettare nulla agli argomenti della controparte. Non solo. Quando non si sa proprio cosa ribattere, spesso si sprofonda in vere e proprie volgarità (a chi ritenesse improprio o eccessivo il termine, facciamo presente che il Vocabolario Treccani ne fornisce la seguente definizione: “Mancanza di cultura, di educazione, di finezza e di signorilità) . E’ un espediente vecchio e marcio, che fu usato, per esempio,  anche contro Giacomo Leopardi, il quale fu costretto, in una memorabile lettera al filologo Luigi De Sinner del 24 maggio 1832, a protestare duramente contro certe interpretazioni che alludevano malignamente alla sua persona: “E’ per effetto della viltà degli uomini (…) che si è voluto considerare le mie opinioni filosofiche come conseguenza di mie particolari malattie(…). Protesterò contro questa invenzione debole e volgare, e pregherò i miei lettori di confutare le mie osservazioni e i miei ragionamenti” (Epistolario, vol. II, p. 1913, Boringhieri, Torino, 1998).

Detto tutto ciò, a questo punto è lecito chiedersi: ma esistono dei criteri, quanto più possibile oggettivi, tali da farci intendere e comprendere, ad esempio, la validità o la vera propria grandezza e genialità di un poeta? Il discorso ci porterebbe assai lontano, ma alcuni punti possono e debbono essere assolutamente chiariti.

Fu proprio Leopardi, in svariate occasioni, ad affrontare la questione. In un passo dello Zibaldone, certamente sconosciuto ai milioni di sedicenti “poeti”, “letterati” e “critici” che ammorbano l’aria senza alcuna vergogna, egli così argomenta: “E’ tanto mirabile quanto vero, che la poesia (…) e la filosofia(…) sieno le facoltà le più affini tra loro, tanto che il vero poeta è sommamente disposto ad essere gran filosofo, e il vero filosofo ad essere gran poeta, anzi né l’uno né l’altro non può esser nel gener suo né perfetto né grande, s’ei non partecipa più che mediocremente dell’altro genere (…). La poesia e la filosofia e la filosofia sono (…) quasi le sommità dell’umano spirito, le più nobili e le più difficili facoltà a cui possa applicarsi l’ingegno umano”.  Ma “tutti si credono esser filosofi, ed aver quanto si richiede ad esser poeti”, per cui queste due facoltà, le “più rare, anzi straordinarie”, tutti ritengono o di possederle già, o comunque di poterle rapidamente e acquisire. E, quanto ai facili giudizi, attenzione, perché “il gustare, e potere anche mediocremente estimare il valor delle opere di poesia e di filosofia, non è che de’ veri poeti e de’ veri filosofi, a differenza delle opere dell’altre facoltà” (Zibaldone di pensieri, edizione critica, vol. II, pp. 1770-1772 <3382-3385 del manoscritto originale>, Garzanti, Milano 1991).

Queste profonde considerazioni teoretiche, che ci pongono in totale sintonia col pensiero leopardiano circa i veri e i sedicenti poeti e letterati, smantellano impietosamente e in un attimo tutta l’immane, orrenda montagna di spazzatura “culturale” eretta , spesso, da costruttori a pagamento di falsi miti casarecci! La poesia non nasce, certo, spontaneamente dalla filosofia, ma, senza una solida base ideale, senza il possesso di una concezione generale dell’uomo, della natura, dell’universo, non c’è, né può esservi, vera poesia.

Le medesime tesi sono vigorosamente espresse dall’insigne critico Walter Binni allorché, sempre a proposito di Leopardi e di “camuffamenti e maschere”,  “letterati frivoli” e letterati tra virgolette, conclude: “Se coraggio,  vigore intellettuale, coscienza morale non fanno di per sé poesia, la grande poesia non sorge che sul coraggio della verità, su di una grande coscienza morale, sulla profonda partecipazione alla storia degli uomini (La protesta di Leopardi, p.167, Sansoni editore, Firenze 1984).

Per l’elevazione e il progresso della Cultura, non abbiamo perciò bisogno di maschere, di carnevalate, di personaggi picareschi tanto squallidi, quanto pietosi nella propria abissale ignoranza. Abbiamo invece bisogno di studi profondi e vasti, di rigore intellettuale, di competenze certe, di serietà.

Siamo perfettamente coscienti dell’inadeguatezza delle nostre forze e risorse culturali (ci mancherebbe altro!), ma pur nell’ambito di limiti modesti, non cesseremo di far la nostra parte in questa appassionante battaglia civile.

Qualcuno non è ancora d’accordo? Consulti Leopardi, per favore, e lo faccia con cortese urgenza!



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