Premi e “poesie” a gogo


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Il fenomeno dei premi e dei concorsi letterari, poetici e artistici, ha ormai assunto proporzioni decisamente abnormi. Non esiste una biblioteca comunale, una scuola, un ente, una qualsivoglia istituzione che non organizzi il suo bravo premio di sedicente poesia. La cultura vera, però, non è fatta di pavoneggiamenti vanagloriosi e retorici, ma si esprime mirando in alto e tenendosi ben lontana dalla politica contingente e corruttrice.

Del resto, in Italia come anche in diversi Stati  esteri, la letteratura, l’arte, la musica, il cinema, ecc., attraversano una lunga fase di stagnazione, di decadenza, di vera e propria crisi.

Basti pensare, per fermarci all’Italia, che le migliori nostre storie della letteratura sono diventate, nel trattare gli ultimi decenni, dei meri repertori di nomi: nomi sempre più numerosi, ma che rischiano di essere dimenticati con la stessa facilità con cui sono stati elencati.

E’ un fenomeno non del tutto nuovo, visto che era stato già analizzato da Giacomo Leopardi, il quale, il 2 aprile 1827, rilevava che “ Molti libri oggi durano meno del tempo bisognato a scriverli. Se poi si volesse aver cura della perfezion dello stile, allora sarebbero più che mai simili” agli insetti effimeri , i quali vivono allo stato alato “non più di una sola notte, tanto che mai veggono il sole”, o addirittura “non più di una, di due, o di tre ore” (Zibaldone, pp. 4271-4272 del manoscritto originale).

E si badi, siamo pur sempre nel campo della letteratura e della poesia “serie”.

Circa poi la cosiddetta poesia associata così di frequente agli attuali premi, ritengo che la situazione sia decisamente patologica e surreale, se non proprio demenziale.

Non voglio, con questo, togliere completamente valore a tali manifestazioni (ce ne sono di eccellenti!), ma, nella stragrande maggioranza dei casi, penso si tratti di  autentiche prese in giro, di buffe carnevalate.

Le medesime persone vi figurano (sempre le stesse!), ora come membri delle “giurie”, ora come organizzatori, ora come sedicenti “critici letterari”, ora come editori, ora come autoproclamati “poeti” e “poetesse”.

Si provi a leggere qualcosa, di queste centinaia di migliaia, o milioni, di “poeti” italici, e, senza nessuno sforzo, ciascuno potrà facilmente comprendere che, nei loro scritti, non compare nessuna tematica, non c’è nessun messaggio, nessuna presa di posizione: un “autore” vale l’altro, una “poesia” può essere scambiata con un’altra, e, persino all’interno di ciascuna di esse, non succede nulla se certi termini vengono  invertiti o spostati di posto! Nessuna metrica, nessun ritmo, nessuna logica interna, nessun discorso chiaro o coerente! Niente di niente. Parole, parole in libertà. Ritengo che,nei casi più gravi, questi grafomani raggiungano livelli talmente insensati, da pervenire alla follia pura.

Se poi, chi tenta di districarsi fra tali elucubrazioni senza senso, non ci capisce nulla (perché, ovviamente, nulla c’è da comprendere), qualche “autore” o “autrice” avrà magari anche il barbaro coraggio di affermare che la colpa è del lettore, della sua…scarsa preparazione poetica!

Nell’ipotesi, mica tanto peregrina, che questi “poeti”, “poetesse”, “narratori” e “narratrici”, ignorino completamente, o quasi, la lingua italiana, c’è sempre l’espediente  di usare il dialetto, specie un dialetto sconosciuto e in uso in aree ristrettissime: non si fanno mai errori di grammatica e sintassi (che in caso contrario sarebbero inevitabili), si presenta un testo criptico e oscuro, e si lascia al “traduttore” l’arduo compito di mettere un minimo di ordine e di decenza allo scritto, nonché la responsabilità delle successive critiche.

Esistono, addirittura, programmi informatici per comporre poesie: basta impostare alcuni termini-chiave, e il gioco è fatto. L’elaboratore sforna le “liriche” una dopo l’altra, in quantità industriale, pronte per i gonzi di turno.

E che dire, poi, delle riviste che ospitano i testi (si fa per dire!) “poetici”? Riviste, talora, finanziate con pubblico denaro (altrimenti dovrebbero chiudere immediatamente, poiché nessuno le compra), e regalate ai Comuni, buttate nelle biblioteche e nelle comunità, ecc. Io stesso ho trovato, in alberghi di un certo livello, copie di tali riviste, evidentemente mai sfogliate da nessuno, perché visibilmente nuove nonostante fossero state stampate molti anni prima!

Inoltre, ho conoscenza di persone che, non solo arrotondano le proprie entrate, ma vivono, addirittura, organizzando e promuovendo premi di poesia o mostre di pittura. La crisi economica è pesante, e occorre arrangiarsi in qualche modo…

Nulla di illecito, sia chiaro, però non parlatemi di poesia. La poesia qui non c’entra niente.

Ma le conseguenze più serie (addirittura catastrofiche!) ritengo che siano altre.

Che qualche nullità assoluta, che qualche semi-analfabeta creda davvero di essere un poeta o  una poetessa, poco importa: ciascuno è libero di pensare di essere Napoleone. Ma se, poniamo, in virtù del solito giro di “conoscenze importanti”, tanto bene oliato in politica da essere diventato un sistema permanente per emergere, qualcuno o qualcuna riuscisse ad avere l’appoggio o la considerazione di uno dei pochi elementi “seri”, allora il danno per la cultura, per quella vera, sarebbe incommensurabile.

Dixi et salvavi animam meam!



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