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FRA PASSATO E PRESENTE
(Recensione alle “Favole esopiche in sanfelese”)
Da qualche tempo è disponibile l’ultima opera del prof. Pietro Stia, docente in pensione, pubblicata col titolo Dodici favole esopiche in sanfelese.
Si tratta, per l’appunto, della riproposizione, in traduzione letterale, di una dozzina di perle del grande narratore greco. I testi vengono inoltre integrati da un libero adattamento in dialetto locale, in versi endecasillabi che imitano il classico schema del sonetto.
A dire il vero, di questo uso del vernacolo, ne avremmo fatto volentieri a meno: non solo esso non aggiunge nulla al contesto, ma limita e appesantisce la comprensione di parti della trattazione. Certo, non siamo al livello di obbrobri “poetici” e di pagliacciate “letterarie” che, per rispetto dei lettori, non intendiamo approfondire: d’altronde l’autore è una persona di cultura, preparata e capace, e conosce il giudizio, estremamente negativo, dell’ insigne critico Pietro Giordani (amico intimo di Giacomo Leopardi) sulla poesia dialettale.
Nella prefazione al libro, è l’autore stesso a indicare i criteri della compilazione: oltre alla versione delle favole, c’è un suo commento, “collegato (…) a fatti realmente accaduti e (…) personaggi realmente esistiti”, nonché numerosissimi spunti etimologici e vocaboli greci tradotti, il tutto arricchito da splendide foto d’epoca.
E’ da notarsi, innanzitutto, la modestia davvero eccessiva del professore, che definisce il proprio lavoro “libricino”, “piccolo tributo”, chiede che gli si “perdonino le ignoranze” (!), e così di seguito. A nostro avviso, Pietro Stia ha invece avuto il merito di trattare di eventi e personaggi locali, del tutto ignoti ai giovani, e il cui ricordo rischiava di svanire per sempre fra le nebbie dell’oblio. L’autore ha ridato voce, per esempio, al matto del posto (che poi pazzo non era, ma soltanto vittima di prepotenze e sopraffazioni), e nello stesso tempo ci ha fatto conoscere un paese, quello dei nostri nonni, che non esiste più.
Ed ecco snodarsi, nei capitoli successivi, figure e situazioni emblematiche: il bizzarro prete della Chiesa dell’Annunziata, o l’arrogante “don” Pietro, pieno di boria spagnolesca (quasi come certi amministratori…). Dopo un affettuoso pensiero per il proprio maestro elementare (ma poteva mancare, in un uomo di scuola?), vengono poi rivelate le piccole furbizie di artigiani e cantinieri. La cantina, come riferisce l’autore, “sopperiva le funzioni dei bar, dei ristoranti, dei luoghi di ritrovo e di conversazione di oggi”. E ancora, aneddoti lieti e tristi: il creditore impaurito, le astute scorribande nei paesi limitrofi, la trovatella ingiustamente accusata di essere una poco di buono, e persino storie di uomini e animali.
Ma è l’ultimo capitolo, a svelare i veri intenti dell’autore. Con rapide pennellate, l’amico Pietro tratteggia la martoriata storia del nostro territorio, facendo emergere l’acquiescenza supina e passiva ai potenti-prepotenti di turno, “l’egoismo, il tornaconto personale (…), il piccolo favore di scambio (…), i terremoti, le frane (…), il mercato dei voti (e) soprattutto l’incuria dei governanti”!
Un passato, come si vede, del tutto simile al presente…
Il testo si conclude con un accorato appello a un “rinsavimento collettivo”, onde evitare, se possibile, il declino inarrestabile della nostra comunità.
Lo stile, sobrio e “popolare” , l’ironia bonaria profusa a piene mani, l’intento didascalico ma non moralistico, fanno sì che la lettura del libro sia piacevole e interessante.
E’ doveroso aggiungere, infine, che attualmente il prof. Stia è alle prese con documenti storici locali, frutto di pazienti indagini d’archivio. Vogliamo sperare che l’Amministrazione comunale si adoperi per una sollecita pubblicazione dei risultati di tali lavori, davvero utili a ricostruire la storia del nostro territorio.