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Ho letto con molta attenzione l’articolo pubblicato sul “Quotidiano” riguardante la piccola Roberta Del Monte e la sua vicenda. Conosco benissimo la bambina a cui sono molto affezionata a prescindere dalla sua condizione, che può cambiare i sentimenti di chiunque, ma non di chi vive una situazione non uguale, ma per certi aspetti simile, dolorosa comunque, ma allo stesso tempo vissuta nella consapevolezza della ricchezza e non solo della difficoltà e l’amarezza di questi doni di Dio (mai classificare queste persone come “Croci” della nostra esistenza, questi termini lasciamoli a chi non pensa e vede oltre) e della vita “diversa” che si conduce e si affronta ogni giorno. Mi rivolgo alla madre di Roberta, Mirella: chi scrive è la madre dell’altra famosa bambina che non parla e che il giornalista autore dell’articolo ha citato sul giornale. Sia ben chiaro: non mi sono risentita per questo, ognuno nel leggere avrebbe pensato: perché questa differenza, anche fra le patologie bisogna guadagnarsi il primo o il secondo posto? Infatti in questi giorni ho sentito parecchi commenti su quello che è accaduto, sulla disparità di trattamento e sulla decisione sbagliata di dare i sacramenti a Francesca Del Monte. Qui non stiamo disputando nessuna gara, nessun tipo di competizione e non c’e nessun ambito podio da conquistare. Non permetto a nessuno di sminuire il sacramento che è stato dato a mia figlia, il lavoro, la dedizione, il sacrificio e l’amore con cui noi come famiglia l’abbiamo accompagnata e di ridurlo quasi ad una sorta di punizione non data a quest’altra bambina che non ha l’uso della parola. Che si tratti di un simbolo o no, né io come madre né gli altri sappiamo quanto e come sia entrato Gesu’ Cristo nel cuore di mia figlia. Francesca nel suo piccolo ha seguito un percorso diverso dagli altri per affrontare anche questa fase della sua vita e ricevere i sacramenti condiviso con il contesto preposto alla preparazione che le ha consentito anche in questa dimensione di raggiungere un traguardo importante con il coinvolgimento e la piena partecipazione. Questo lavoro svolto ha dato i suoi frutti proprio il giorno della Prima Comunione quando lei e gli altri bambini hanno ricevuto il sacramento, contornato da momenti veramente particolari, emozionanti e di grande gioia. Nell’esporre sul giornale le ragioni del tuo sfogo Mirella hai tralasciato di affermare che proprio la madre di Francesca e non solo (anche qualche altra mamma) si sono avvicinate a te per aprire un dialogo e portare un po’ di serenità nel tuo cuore. Questo non per essere menzionate sul giornale ( le luci della ribalta non mi interessano), ma per una questione di correttezza. Dichiarare che ti hanno abbandonata tutti non corrisponde a verità. Ti ho consigliato vivamente piu’ volte di portare Roberta in Chiesa il 19 Maggio scorso e di farle ricevere i sacramenti insieme a Francesca e a tutti gli altri bambini, senza differenze, di guardare Gesù Cristo sulla Croce e di affidarti Lui. Nessuno avrebbe negato i sacramenti a tua figlia. La Chiesa è la casa di tutti indistintamente. Avresti dovuto far riportare a questo punto anche che a tuo dire era stato riferito alla tua persona che qualche mamma non avrebbe gradito che la propria figlia ricevesse la Santa Comunione con la presenza della tua bambina ( e io dovrei pensare la stessa cosa) perché avrebbe guastato lo scenario dell’evento (non è cosa nuova) e avrebbe urtato la sensibilità di quest’altra bambina e della sua splendida madre. Se tutto questo è vero c’è chi soffre di patologie molto ma molto più gravi di quelle destinate purtroppo alle nostre figlie e che avrebbero bisogno di terapie d’urto efficaci, affinchè queste menti imputridite dal proprio ego non partoriscano più simili pensieri. Ripeto se tutto questo è fondamento di verità cara Mirella avresti dovuto gridare la tua ribellione anche a questa parte della nostra comunità. Quando si affida ad un giornale la scrittura delle proprie vicissitudini e le ragioni che hanno portato a questo bisogna, secondo il mio punto di vista essere chiari e obiettivi. L’altro passaggio che mi ha colpito molto è quello dove tu dichiari che Roberta a San Fele viene denominata con un termine che non oso ripetere e che comunque io non ho mai sentito pronunciare nei riguardi della bambina. Se qualcuno lo ha fatto non è degno neanche di se stesso. Non ci sono né vincitori, né vinti in queste storie, ma come ti ho ripetuto spesso in questo periodo bisogna comunque anche nella difesa delle proprie motivazioni portare un po’ di serenità, pazienza e costante ricerca della strada migliore da percorrere, non per il nostro bene, ma principalmente per quello dei nostri figli. Il cammino che ci attende ha qualche spiraglio di luce, ne sono sicura bisogna solo cercarlo e farne tesoro. Coprire anche quel piccolo bagliore non dà più speranza e forza.
Un abbraccio affettuoso a te e a Roberta